Ciao mondo!!

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Guadagno già tanto e mi vergogno un po’ per questo

"Non c’è problema di contratto o di soldi, guadagno già tanto e mi vergogno un po’ per questo, vista la crisi mondiale"
http://www.repubblica.it/sport/calcio/champions/2010/05/18/news/mourinho_real_madrid-4151763/?ref=HREC2-16

Una frase così mi ha colpito…
Soprattutto se a pronunciarla è stato Josè Mourinho.
Ma  lo vedete un Berlusconi, un Mastella… (potrei continuare all’infinito) pronunciare una frase del genere ?!

E’ un affermazione rara nel nostro paese (e non solo) credo.

Però da oggi guardo a questa persona in modo diverso sapete ?

E sono sicuro di una cosa: se per caso la sua strada e quella dell’Inter dovessero dividersi tra pochi giorni francamente penso che avrei un motivo in più per dispiacermene.

Buona giornata
Luca

Corriere

Oggi ho sfogliato il Corriere (ci sono abbonato  e anche affezionato … era il giornale dove scriveva Montanelli e Biagi e dove tutt’ora puoi leggere articoli interessanti di Stella, Rizzo, Severgnini).
Sono abbonato perché se ti abboni per posta risparmi un casino… lo sapranno a Genova ?
Ogni tanto però riescono a far emergere tutta la mia perplessità.
Apprendo che tra gli azionisti c’è un personaggio discutibile e discusso: Giuseppe Rotelli.
Penserete che ingenuo Luca… è l’ennesimo personaggio discutibile, vero ?
Non bastasse oggi, martedì 4 mi ritrovo a pagina 4 un articolo che riprende il fondo di Feltri (ma se è stato SOSPESO dall’ordine dei giornalisti… cosa scrive ancora ?) e un altro  a pagina 7 che riprende un fondo di Ferrara.
A parte che se voglio leggere quello che scrivono i rispettivi direttori, non dovrei comprarmi i rispettivi quotidiani ? O vi è una sorta di "solidarietà" fra testate ?
Saremo sempre attorno al 70° posto per Freedom House , però sapete che vi dico ?
Per fortuna che c’è la rete !

Vi prego, salvate la Miosfera – articolo

Un preistorico vulcano islandese erutta e tutto il modernissimo
traffico aereo è bloccato. Ma l’Italia sembra far parte di un’altra
galassia e pensa solo alle sue piccole beghe. Il fifone
schiva-processi dice che la mafia è un’invenzione dei media e
Dell’Utri è un cartone animato. Bossi dà la colpa della nube alla
crisi monetaria islandese e reclama le banche del Polo Nord.

Bertone è alla ricerca di un’analogia tra i crateri e i sodomiti.
Bersani dice, si sciolgano pure i ghiacciai, basta che non si vada
al voto. E alla fine il ministro Matteoli se ne esce con una
proposta geniale: nessuno viaggi. Abbiamo capito perché è
ministro.

Il terremoto di Haiti dopo una settimana è sparito dai media, ma al
suo posto impazza una catastrofe ben peggiore: Minzolini e colleghi
che si accapigliano sul milione di telespettatori perduti. Intanto
abbiamo nuovi sismi in Nuova Guinea Afghanistan e Cina, ma
l’argomento è logoro, non interessa più.
E dire che di problemi ambientali ne abbiamo anche noi. La penisola
italica sembra snella ma è obesa. Con l’Alta Velocità possiamo
schizzare da Roma a Milano in tre ore e due pacchetti di
biscottini. Ma attraversarla per il largo da Roma a Cesena è come
affrontare il Sahara. I cantieri della Salerno-Reggio Calabria sono
patrimonio archeologico, al posto degli autogrill potrebbero avere
dei nuraghi. Le autostrade a pagamento sfavillano di asfalto
drenante, ma quando piove un terzo delle strade normali frana o è
inagibile.

L’acqua sarà il business del futuro, è già pronta la
privatizzazione con relativa spartizione. Ci sarà l’acqua Padana,
metà Po metà Tevere, perché la Lega ha il cuore a nord ma l’esofago
a Roma. Poi avremo Pidiella, l’acqua che combatte la renella e gli
avvisi di garanzia. L’Acquafini che fa digerire i magoni e
ripristina l’obbedienza. L’acqua Centrorosso, con lieve percentuale
alcolica per far finta che le elezioni siano state un trionfo.
Infine l’Acqua del sud, che essendo la mafia un’invenzione
televisiva, sarà imbottigliata da Maria De Filippi.

In quanto all’aria le nostre città sono avvelenate dallo smog ma è
tutto un fiorire di Ecomaratone, Vivilabici, Corricheseisano,
Domenica Respira. Una o due volte all’anno migliaia di cittadini in
tuta e scarpette testimoniano la loro volontà di sopravvivere. Ma
il giorno dopo Domenica Respira c’è già Lunedì Ansima e poi Martedì
Strozzati. È uscito anche un decalogo "per attraversare bene una
città", come a dire, la colpa non è dell’inquinamento, ma dei
cittadini idioti che non sanno respirare. In quanto alla Fiat, ha
le auto elettriche pronte ma finché c’è il petrolio mancano le
prolunghe.

E tra poco riavremo il nucleare. Verranno costruite solo centrali
della moderna terza generazione. Vuole dire che ci devono
guadagnare almeno tre grosse industrie. Nessuno ha proposto di
costruire una nuova generazione di edifici scolastici, non si
guadagna abbastanza.

Tutto questo testimonia che, di fronte a un emergenza ambientale
senza precedenti, l’Italia continua a mostrare scarsissima
conoscenza e coscienza ecologica. Ci sono singoli parlamentari,
associazioni benemerite, comitati di cittadini, qualcuno come
Grillo o Vendola che ci sta provando. Ma il partito verde italiano
è sempre stata la cenerentola dei partiti verdi europei.

Tutti sentiamo parlare di pale eoliche e pannelli solari, ma le
pale restano ferme, e sul fotovoltaico c’è un caos di leggi, di
certificazioni improvvisate e di confusione sui costi. Sui nostri
tetti l’unica cosa che trionfa è la parabolica.

Camion e navi con rifiuti tossici non hanno smesso un istante di
attraversare i nostri territori e il nostro mare. Basta pagare una
multa e si riparte. E la nostra prevenzione incendi è al livello di
quella degli eschimesi.
Forse c’è una spiegazione. Forse l’Italia si è affezionata
all’immagine di qualcosa di sporco, franante, disordinato, e
guasto. Le nostre bellezze devono avere un contrappunto fetente,
per venire incontro alle aspettative ai turisti. Che infatti
fotografano con la stesso interesse i nostri quadri e la spazzatura
per strada.

Eppure la parola "pulito" salta fuori in ogni nuovo slogan,
iniziativa, e palingenesi. Berlusconi si è promozionato ripulendo
una parte di Napoli, poco importa che adesso tutto stia tornando
come prima. Le gallerie ferroviarie "ecostabili" della Roma-Bologna
hanno distrutto i torrenti dell’Appennino, ma non sentirete mai
un’amministrazione rossa protestare per questo scempio. Andate
sullo Jonio e vedrete che per un ecomostro abbattuto, un altro sta
spuntando.

Chi ci difende da questo massacro mafioso-cementizio? I geologi, i
sismologi, i metereologi sono ormai post-esperti. Nel senso che
vengono ascoltati solo dopo i disastri. Sarebbe bellissima una
trasmissione televisiva in prima serata col titolo "Io l’ho visto"
in cui si denunciano i pericoli e i guasti del dissesto
idrogeologico e si indica come intervenire subito. Ma i
disastrologi devono constatare, non inquietare. E i più furbi tra
loro hanno un argomento rassicurante, che garantisce un nuovo
passaggio in televisione: dicono "è vero, è un disastro ma è già
successo nel 1937". Verrebbe voglia di farsi trovare a letto con la
loro moglie dicendo "quello che lei pensa è vero ma non si arrabbi,
è già successo nel 1998".

Il vulcano, dicono gli scienziati, non è una malvagia anomalia, ma
un motore della biosfera. In questo caso il prefisso "bio" viene
usato seriamente: ma ormai non c’è prodotto che non esibisca queste
tre lettere come pennacchio. Da biogas si è passati a bioyogurt,
biomassaggio, biodentifricio e anche biopannolino per bioculi
grandi e piccini. Quando si tratta di vendere, sono tre lettere
magiche. Quando però si parla di biosfera, cioè di un organismo che
non si può vendere, ma che si dovrebbe difendere dalla sfrenatezza
economica, il discorso cambia. Ogni istanza ecologica diventa
biochiacchiera apocalittica. E i giapponesi con cinica serietà
scientifica ci informano che la crisi totale della biosfera è già
in atto, e scommettono chi sul 2013 chi sul 2050. Non è un dubbio
cosmico come "chi vincerà lo scudetto", ma varrebbe la pena di
rifletterci.
Fortunatamente per i dirigenti italiani le tre lettere sacre non
sono bio, ma "mio", la miosfera del privilegio e dell’impunità.
Quel vulcano è un rompiballe, che probabilmente ha dentro al
cratere un ritratto di Che Guevara. Dimentichiamolo in
fretta.

Recentemente Obama ha detto che entro il duemilatrenta l’uomo deve
assolutamente andare su Marte. Ci viene un dubbio: lo ha detto per
desiderio scientifico o sta preparando un’arca di Noè? Sarebbe
bello se l’inevitabile nube islandese ci spingesse a pensare alle
nubi evitabili del nostro futuro. Ma la fine del mondo sembra ormai
l’ultimo grande spettacolo che ci è rimasto. Non conviene
rinviarla, abbiamo già venduto tutti i biglietti.

fonte: Stefano Benni da Repubblica.it

Le banche e la Lega

Dottor Romano, ho letto l’editoriale di oggi del dottor Giavazzi e la sua analisi scaturita dall’affermazione "alla Lega le banche del Nord".

Mi chiedo se le banche siano ancora istituti privati o enti controllati dai partiti?
Le banche stanno in piedi grazie ai depositi dei cittadini e a loro devono rispondere, non ai politici.
Vorrei ricordare che le banche in passato non han portato bene alla Lega.
Ci siamo già dimenticati della vicenda "Credieuronord" che  l’ha quasi rovinata ? Ed era solo un modesto istituto di credito.
Vista la fine che ha fatto l’unica banca posseduta sinora dalla Lega mi sentirei di consigliare ad un risparmiatore del nord di ritirare i suoi risparmi e di trasferirli in qualche banca del sud oppure altrove, memore di quanto è accaduto a quelli che hanno creduto nella "Credieuronord".

Cordiali saluti
L.D.
(liberamente tratto dal post di Danilo De Rossi dalla rete)

Dorfles cento: «Ecco cosa penso di voi» – articolo

Compie un secolo l’uomo che ha cambiato l’estetica

«A Trieste ho scoperto Kafka e Strindberg prima degli
italiani. Detesto la critica che non sa parlar male di nessuno, me
compreso. Odio le femministe, i cascami del Sessantotto, la Body Art,
le orrende periferie delle città italiane. Amo McEwan, vorrei imparare
il giapponese»

di  Gillo Dorfles

Cento anni, e allora? Io sono nemico degli anniversari, non li
sopporto. E non solo in questa occasione un po’ particolare, diciamo
non proprio quotidiana, che mi riguarda. Provo la stessa idiosincrasia
anche per quelli altrui. Non parliamo di quelli canonici, le date
storiche. Non so quando è stato, che so, l’Armistizio. O la fine della
guerra, o la festa della Repubblica. L’unico che mi viene in mente,
adesso, è il Primo Maggio. C’è una ragione, naturalmente, la mia
antipatia per gli anniversari è legata a un episodio. Quando ho preso
la maturità, alla fine del liceo, sono stato bocciato in due materie:
storia e matematica. Date, anniversari e calcoli da allora non sono mai
riuscito ad inghiottirli: è successo anche più tardi, con quelli
economici e finanziari. Oggi, provo la stessa antipatia quando mi trovo
a che fare con Internet o con i telefonini: a tu per tu, i numeri mi
spaventano, non riesco a dominarli. E così, quando vedo un bambino
schiacciare i tasti numerati senza sapere nemmeno che cosa sono,
capisco di appartenere a una generazione completamente superata.
Eppure, mi rendo ben conto di vivere nel presente. Anzi, l’infanzia a
Trieste, la giovinezza, non mi tormentano nel ricordo, è come se
appartenessero anche loro alla storia, e la storia è una mia nemica.

E la mia stessa formazione triestino-mitteleuropea, se ha
contato in passato, ormai non pesa più. Mi ha aiutato certo all’inizio,
quando, come si diceva allora, da Trieste «sono andato in Italia».
Perché avevo una formazione europea che qui non esisteva: avevo letto
Wedekind e Kafka, sapevo che cosa significavano Strindberg e Proust. E
soprattutto io allora avevo conosciuto Italo Svevo, uno dei maggiori
romanzieri europei nel Novecento. Per me si trattava di un pasto
quotidiano, mentre in Italia erano ben poco noti. Mi colpisce, a questo
proposito, quanto le cose si siano rovesciate attualmente in Italia.
Oggi gli uomini italiani di cultura – parlo soprattutto dei critici –
sono abbastanza al corrente di quel che succede all’estero, ma trovo
condannabile il fatto che si compiacciano di citare sempre e solo gli
stranieri: Baudrillard, Lyotard, va bene; ma vedo un proliferare
continuo anche di Edgard Morin, un mediocre, o di Starobinski, bravo ma
non straordinario. E intanto Paci e Della Volpe sono spariti, per i
giovani è come se non fossero mai esistiti. In altri Paesi, come si sa,
avviene esattamente il contrario, e questa la considero una delle tante
vergogne della cultura italiana attuale. Perché l’esterofilia è una
bellissima cosa, infatti io stesso mi sono abbeverato a suo tempo al
New Criticism d’oltre oceano. Ma poi basta, già allora avevo capito che
sarebbe stato più importante dedicarmi agli autori italiani.

E qui lo so, iniziano le difficoltà: perché in parecchi si
aspettano che io incominci a parlar bene di qualcuno, e soprattutto
male di altri, stilando pagelle lunghe cento anni. Non che non ne sia
tentato, ma devo pensare anche alla mia sopravvivenza. Ricevo
innumerevoli telefonate di figli, o peggio ancora di vedove, rapaci
nell’esortarmi, nel coinvolgermi in memorie comuni. Per non correre
rischi dovrei dir bene solo degli assenti, o di quelli che non ci sono
più. Così, parlando di architettura, lodo Lloyd Wright e van der Rohe,
sicuro di non attirarmi le ire di Renzo Piano o di Mario Botta. Oppure,
in letteratura, apprezzo Borges, perché gli scrittori argentini di oggi
non si sentano offesi. O confesso di preferire i versi di Montale e
Ungaretti, senza che i poeti italiani se la leghino al dito. Dico di
considerare Buzzati un grande scrittore europeo, senza che qualche
articolista arricci il naso. Per i triestini, vale lo stesso: Svevo e
Saba oggi non fanno ombra a nessuno. E posso ricordare impunemente Bobi
Bazlen, il filtro attraverso il quale ho potuto accedere ai letterati
di varie aree mitteleuropee. Oppure una personalità oggi dimenticata
come il critico Piero Gadda, dal quale ho imparato molto appena
arrivato a Milano.

Il fatto è che la grandezza di una persona e la sintonia che si
può avere con lei, come ho imparato attraverso il tempo, sono due cose
ben diverse. Spesso l’amicizia va al di là del fatto culturale,
coinvolge una dimensione differente, fa sì che contino per te persone
non importanti, e viceversa. Nell’incontro con Frank Lloyd Wright a
Taliesin, in Arizona, ad esempio, sapevo di essere di fronte a uno dei
più grandi architetti del mondo, eppure quando venni ricevuto da lui
gentilmente sì, ma con modi piccolo borghesi, mi deluse la sua
presuntuosa sufficienza. E dire che volle invitarmi personalmente nella
sua casa-scuola: eppure risultò subito evidente che non c’era simpatia
tra noi, non era scattata l’amicizia. (Qui devo confessare di aver dato
sempre una grande importanza all’elemento simpatia reciproca. Se provo
simpatia per una persona, sono sicuro d’essere ricambiato). Ma visto
che tocco l’argomento architettura – ne possiedo ben tre lauree honoris
causa, di cui vado molto fiero – vorrei rendere omaggio a un mio amico
d’infanzia, Ernesto Rogers, col quale fui lungamente a contatto quando
frequentava gli ultimi anni del Politecnico. Ebbene, se non fosse stato
per lui, forse non sarebbe mai nata dentro di me la passione per questa
disciplina, ed è stato così appunto che ho incominciato a conoscere gli
architetti. Una funzione vagamente simile, maieutica nei confronti del
bello, credo l’abbia esercitata su di me Alberto Savinio, il primo
artista che mi abbia colpito davvero.

Io l’ho sempre considerato più grande del suo grande fratello De
Chirico; ma soprattutto nel tempo delle vacanze, andando insieme in
bicicletta al «Poveromo», ho avuto la percezione affascinante,
ammaliante, di un intellettuale vero, scanzonato e ironico, letterato
di prim’ordine e anche musicista. Per me esistono modi diversi,
insomma, di considerare le persone importanti, o almeno interessanti.
Come critico, credo di non avere seguito le mode, tanto che mi hanno
collocato in una «geografia della marginalità». C’è di vero che mi è
sempre piaciuto scoprire artisti di provincia non seguiti dal mercato,
o alle prime armi, come, fra gli anni Cinquanta e gli Ottanta, è
successo con Castellani, Bonalumi, Dorazio, Accardi. E lo facevo non
per partito preso, ma perché mi pareva di riconoscere in loro certi
elementi non ancora esplosi, di scoprire vene artistiche ancora ignote.
Del resto uno dei grandi compiti della critica non è quello di portare
alla luce ciò che non è ancora affermato? E di gettare a mare ciò che
non merita d’essere salvato? Fra queste ultime cose non rimpiango di
avere relegato la Body art, l’estetica della crudeltà. In un’epoca come
la nostra, dove c’è chi uccide la figlia perché ha un fidanzato
italiano, o ammazza i genitori per l’eredità, e in cui insomma la
crudeltà è un fatto da prima pagina quotidiana, che senso ha mettere in
mostra, come fa la Abramovic, le ossa degli animali uccisi? Oppure
ferirsi? Certo, accanto a un’arte del Bene è sempre esistita un’arte
sadica o masochistica. Ma viviamo già, oggi, in un’epoca in cui il Male
è un elemento privilegiato, che bisogno c’è di propagarlo?

Piuttosto, è tempo che i critici ritornino a fare il loro
mestiere. Nella mia mostra milanese recente, a Palazzo Reale, mi ha
colpito come non mi sia stato mosso nessun rilievo veramente critico:
né in positivo, né in negativo. Niente. Solo entusiasmo di facciata per
l’evento in sé, senza il coraggio di formulare un vero giudizio. Il che
è un’abitudine sempre più frequente, non solo nelle arti visive: ormai
si sprecano le esaltazioni e le lodi – senza offesa, me ne vengono in
mente alcune per Alda Merini – e ci si ferma lì, per paura, o per
evitare d’essere criticati dai colleghi. Insomma, io devo aprire le
pagine del «Financial Times» per imparare qualcosa: di recente, ci ho
trovato un lungo articolo su Ian McEwan, per me il più grande scrittore
vivente. Era un’apoteosi del letterato, ma una critica aspra del suo
ultimo romanzo, Solar. Beh, non ho mai trovato qualcosa di analogo
sulle nostre riviste. Dico allora che bisogna ritornare a dire la
verità. Che bisognerebbe cancellare tutte le periferie di tutte le
città d’Italia. Dalla Toscana a Torino, terribili. Che Milano non ha un
piano urbanistico regolatore, la prima cosa di cui avrebbe bisogno. Che
i grandi scrittori del secolo scorso, con tutta la loro grandezza,
hanno fatto il loro tempo: persino i Proust e Sartre, i Broch o i
Cocteau, Henry Miller o Joyce. Che le grandi mode culturali, come il
gestaltismo – la teoria della forma – e la semiotica hanno già assolto
la loro funzione di aprire una nuova strada alla critica italiana.

Che il femminismo è sgradevole, e io ne sono un nemico feroce:
riconosco alle donne parità di diritti ma trovo abominevole che alcune
si facciano chiamare al maschile dottore o professore, senza rendersi
conto di andare contro l’eguaglianza sociale dei due sessi. (Peggio
ancora quelle che vorrebbero fare del femminismo una prerogativa, come
se si considerassero una categoria a sé). Che il Sessantotto… quello
non so a che cosa corrisponda… è la mia idiosincrasia per le date. Ma
comunque io vi ho partecipato attivamente, come ha fatto Enzo Paci,
finché gli studenti avevano ragione di protestare; poi, dopo il suo
breve periodo, il Sessantotto si è trasformato in qualcosa di negativo,
come è successo a molte rivoluzioni, in particolare a quella sovietica.
Vorrei dire poi che il gusto cambia, è legato al momento e quello
attuale non potrà mai essere di domani. Per cui, anche se vi
confluiscono certe costanti politiche e sociali, rassegniamoci: oggi
lodiamo il liberty dopo averlo trovato di pessimo gusto a metà
Novecento; e prepariamoci a rivalutare domani i mobili post-liberty dei
nonni, quelli che oggi non avremmo nemmeno il coraggio di adoperare.
Già che ci sono, vorrei mettere anche una cattiva parola sulla nouvelle
cuisine, un’altra cosa che detesto. Ha ibridato le cucine regionali e
nazionali, e io che le amo tutte – dalla siciliana alla ligure, alla
piemontese – proprio come i dialetti, me ne sento privato. Cucina e
dialetto danno gusto alla vita. Persino a Trieste sento il dialetto
perdere forza. Secondo me, invece, la bellezza delle lingue locali
dovrebbe convivere con l’accento perfetto dell’italiano, quello che per
gli inglesi è il king’s english.

Altre cose che ho da dire? Che io continuo a sentirmi
naturalmente di sinistra (anche se annacquata), ma oggi siamo in piena
eclissi: speriamo che il sole annunci presto una nuova alba. Del pari:
che certi vuoti umani sono incolmabili, come quello lasciato da una
personalità straordinaria chiamata Adriano Olivetti, un tipo
d’imprenditore che ha saputo implicarsi in modo sanguigno nei problemi
artistici, chiamando a collaborare architetti di estrema avanguardia
come Figini e Pollini, ma sviluppando anche la macchina da scrivere e
intuendo addirittura l’avvento dei computer. Nella mia galleria dei
personaggi preferiti metto persino Elisabetta d’Inghilterra. (Sono
riuscito a chiamarla ma’am, secondo l’etichetta, il giorno in cui mi ha
interrogato sul disegno industriale). E anche Kissinger, conosciuto a
Yale, simpatico e furbo. E Mies van der Rohe, il giorno in cui mi ha
mostrato come l’appartamento di un suo palazzo a Chicago, trasparente e
luminoso, fosse stato trasformato in un antro buio e lugubre, oscurato
da tende alte e spesse, per volere della sua proprietaria, vecchia
ebrea viennese. E poi, nella mia galleria personale di oggi metto gli
scrittori McEwan e Paul Auster, i migliori, perché riescono a iniettare
nei loro libri tutta la negatività della nostra epoca.

Mi accorgo qui di aver parlato troppo poco delle donne,
dell’importanza che per me ha sempre avuto, e continua ad avere, la
loro bellezza. Il fatto è che è più piacevole parlare con loro, più che
con qualsiasi uomo, perché, anche se si tratta di un primo incontro,
c’è nel dialogo con un’anima e un corpo femminili, sempre, un aspetto
vagamente sentimentale che mi affascina. Nessuno si aspetti da me,
invece, particolari rimpianti. Salvo uno, veramente: quello di non
essere riuscito a passare sei mesi in Giappone per impararne la lingua.
La cultura giapponese mi affascina da sempre, ho anche cominciato a
studiare la lingua da solo, però senza riuscire a continuare. Chiudo
con un personaggio che non è artista né scienziato, ma veggente: il
Mago Sili. Abita vicino al lago dell’Accesa, non lontano da Massa
Marittima. Pare che un po’ della sua forza – questo almeno dice lui –
gli venga dalle tombe etrusche sepolte sotto casa. Un giorno vado a
trovarlo e gli dico: per favore, non mi dica niente del futuro, mi
liberi soltanto dal tormento dell’erpes zoster. Troppo tardi, dice lui,
doveva venire a trovarmi quando è cominciato, sei mesi fa (infatti era
così). Poi mi guarda negli occhi e aggiunge: ha fatto bene a lasciar
perdere quel che aveva iniziato. Cioè?, ho pensato. Poi ho capito.
Certo, la mia laurea in medicina. Sì, ho fatto bene a dedicarmi a
qualcos’altro. Adesso ne ho la prova.

(testo raccolto durante una conversazione con Gianluigi Colin e Dario Fertilio)
fonte: Corriere della Sera, 11 aprile 2010

Un pensiero al Presidente…

In queste giornate, dal punto di vista calcistico  concitate (siamo alla vigilia di un importante partita di ritorno di coppa e assistiamo a dichiarazioni imbarazzanti o forse sarebbe meglio dire assurde) volevo ringraziare Beppe Severgnini per il suo articolo sulla vicenda di calciopoli (http://archiviostorico.corriere.it/2010/aprile/04/interista_rispondo_abbandonate_passato_tossico_co_8_100404008.shtml) che sembra riaffiorare prepotentemente.
Purtroppo in rete mi tocca leggere anche articoli di ben altro taglio: http://www.repubblica.it/sport/calcio/2010/04/05/news/intercettazioni_5_aprile-3142481/.
Volevo solo  rivolgere un pensiero al "Presidente" Giacinto Facchetti (che non c’è più e non si può difendere) e ai suoi famigliari (in particolare a Gianfelice che sono sicuro troverà la forza e il tempo di difendere la memoria di suo padre come già è stato costretto a fare in passato).
Ho sempre seguito l’Inter da lontano, fin dai tempi del Trap che mi ricordi, abbiamo passato anni difficili.
Però sono orgoglioso di tifare questa squadra e delle persone che ne hanno fatto parte e la compongono.
Non ne ho dubbi e ne sono più che mai convinto.

Luca

Grillo

Caro Direttore volevo innanzitutto ringraziarla per aver, forse tra i primi, espresso l’intenzione ieri a Porta a Porta di analizzare il fenomeno delle lista 5 Stelle di Grillo.
Finalmente, mi permetta di dire, qualcuno che ci prende in considerazione senza toni pregiudizievoli.
Non sono un candidato, ma semplicemente un elettore che ha creduto in questa lista, anche se in Lombardia (con  mezzi e risorse economiche limitati) non ha raccolto consensi come in Piemonte o Emilia.
Sembra, mi permetta, che molti facciano fatica a capire questo movimento Direttore.
Bisogna viverlo, con passione, dall’interno per comprenderlo.
Chi lo segue, come me, non è un provocatore, ma è stanco di una politica fatta di promesse e lontana anni luce dalle proprie aspettative ed esigenze.
Faccio i complimenti al presidente della società per la quale lavoro, che è stato eletto nel listino di Formigoni (come vede tra di noi c’è chi è educato).
Mi permetta di  togliermi un "sassolino dalla scarpa" (che è anche il nome del mio blog sul precariato) Direttore: mi spiace nona avergli mai potuto stringere la mano, non l’ho mai visto passare nel mio ufficio (ma si sa come sono queste grosse aziende vero… dispersive no ?).
Vorrei dire a Bersani, piacentino che stimo e uomo che proviene dalla terra che ha dato i natali a mia nonna, di non prendersela a male con Grillo e che se un significativo numero di elettori può aver spostato il proprio voto da sinistra alla lista 5 Stelle questo è avvenuto perché molti di loro non si sono più sentiti rappresentati.
Le faccio un esempio: sono precario da dieci anni, è possibile, che un governo di sinistra che ha avuto la possibilità di legiferare in nostro favore in questi anni non ha fatto quasi nulla per migliorare la mia situazione e quella di migliaia di lavoratori nella mia situazione, se non qualche timido tentativo ?
Ho spostato il mio voto, così come in passato corressi il tiro da destra a sinistra poiché deluso dalle promesse di Berlusconi, perché ho ritenuto di non essere stato rappresentato, perché   le mie aspettative sono state disattese, perché questa politica è lontana dalla mia idea Politica con la P maiuscola
(ormai così torbida in certe aree).
Spero per questo, di non essere bollato come un "voltagabbana" o come persona non coerente con i propri ideali.
Non mi resta che sperare, per ora, in questo movimento, senza il quale , mi creda, ci sarebbe stata solo la mia astensione dal voto.
Mi permetta di fare i complimenti a tutti i ragazzi che hanno creduto in questo progetto, sono stati tutti fantastici.

Con stima
Luca

Voto

Mancano poche ore alla chiusura dei seggi elettorali.
Sono sereno: sento di aver fatto il mio dovere ma soprattutto questa volta sono convinto di aver votato per qualcosa di nuovo.
Non mi aspetto capovolgimenti di nessun tipo,
la mia regione, penso, rimarrà governata dalla medesima persona per altri cinque lustri.
Chissà forse vorrà entrare in qualche sorta di Guinness dei primati come "governatore più longevo" della storia della Repubblica.
Intanto io lotto disperatamente per non diventare il precario più longevo della storia della Regione
(e pensare che collaboro con un azienda che fa capo proprio alla sopracitata Regione).
A pensarci bene la persona che governerà la Regione per i prossimi cinque anni dovrà, insieme al sindaco e al presidente della Provincia traghettarci verso "l’Expo dei rendering" (il termine mi è venuto in mente questa mattina vedendo l’ennesima simulazione di un progetto a computer): ci hanno venduto bene un Expo fatto di simulazioni, disegni e figure colorate.
Ora vedremo cosa saranno capaci di fare.
Ci aspettiamo tanto: la riqualificazioni di tante aree della città, il prolungamento delle linee della metro esistenti, la costruzione di due nuove tratte ex-novo e tante altre cose che possano migliorare la qualità della nostra vita.
Per una volta non voglio essere critico, però sapere che forse ci saranno dei ragazzi, come me, che vigileranno e porteranno nuove proposte attraverso la rete… non  è poco
all’interno di una realtà come la Regione che sembra, per chi la vede da fuori, come qualcosa di chiuso o inarrivabile.
Comunque vadano le cose mi sento di scrivere "buon lavoro" a tutti.
E troppo scontato di questi tempi ?

Facebbok… qualcosa non va…

Dal 18/3 non riesco più ad accedere al mio profilo sul social network Facebook.
Devo aver probabilmente violato qualcuna della clausole presenti nel contratto: ora il mio account risulta disabilitato.
Ovviamente non ho ricevuto nessuna comunicazione via mail che mi dicesse che la mia utenza sarebbe stata disattivata ne tanto meno alcuna spiegazione.
Ho prontamente scritto il giorno  stesso della disabilitazione (18/3) al loro indirizzo disabled@facebook.com ma ad oggi non ho ricevuto nessuna risposta.
Non so il perché la mia utenza sia stata disabilitata, se (e quando) verrà riabilitata.
Le mie foto, i miei commenti, i documenti caricati che fine faranno ?
Potrebbe essere la volta buona per disintossicarsi dal famoso social network (in realtà esistono molti altri modi per rimanere in contatto in rete MySpace, Twitter, Msn ma nessuno forse è immediato o ben strutturato come FB).
L’applicazione mi permetteva di rimanere in contatto con amici, colleghi, diversi giornalisti con i quali interagivo.
Grazie a quest’applicazione ero entrato in contatto con persone come Lerner, Barbacetto, seguivo e promuovevo eventi e dibattiti.
Ora mi dico… che peccato rinunciare a tutto questo.
Ma soprattutto mi chiedo… tutto ciò è lecito ?

Luca

p.s. (Ho scritto comunque una lettera all’associazione di consumatori alla quale sono iscritto.)